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Mio padre di Giancarlo Da Lio

Mio padre, classe 1927, non ha mai posseduto la patente e nemmeno un motorino. Ma solo la Bicicletta anche quando negli anni 60 avevano cominciato, grazie al boom economico, a non essere più di moda.
Ricordo le torme degli operai di Porto Marghera; il loro passaggio dalla bicicletta al mosquito, alla Vespa e alla Lambretta. I parabrezza per difenderli dal gelo e dall’acqua. E poi l’automobile. La fiumana umana trasformarsi, alla fine dei turni, in una fiumana meccanica.

Ma mio padre ha continuato a raggiungere il deposito FS sempre in bicicletta. La stessa bicicletta con la quale qualche volta a primavera veniva a prendermi a scuola e a trasportarmi a casa sulla canna. Non ne ricordo la marca ma il color crema e il cambio Campagnolo. Un modello semisportivo. E ricordo la cura che metteva nel pulirla e oliarla. Il riconoscimento di un bene che la povertà del periodo bellico aveva fatto comprendere ad un adolescente. Assai diverso dai ragazzi viziati che abbiamo contribuito a formare. Ricordo altre marche gloriose, la mia Legnano, la Ligye di mamma ma non riesco a ricordare la sua. Non riesco a ricordare che fine abbia fatto. Forse l’ha accompagnato in quel viaggio misterioso iniziato nel 1984. Intanto io ripercorro le nostre vecchie strade. E mi meraviglio del tempo trascorso. Forse alla ricerca di una pedalata che mi faccia sentire una sintonia di cui sento la mancanza.

Giancarlo Da Lio

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