I cavalieri cortesi del futuro
“La bicicletta è il veicolo più rapido nella via della delinquenza; perché la passione del pedale trascina al furto e alla grassazione”. Così scriveva Lombroso all’inizio del ‘900 confermando ancora una volta la propria abilità nel giungere a considerazioni errate partendo da premesse verosimili. Qualcosa di vero infatti nell’affermazione dello “scienziato” c’è. Ad oltre un secolo di distanza la bicicletta si conferma come il veicolo più rapido per gli spostamenti a corto e medio raggio, come quelli urbani. E ad oltre un secolo di distanza il pedale continua ad attirare la passione di tantissime persone, anche se la maggior parte pensa la bicicletta come un sport, da vedere in televisione o praticare la domenica, piuttosto che come un mezzo di locomozione ad uso quotidiano. Ma la convinzione di Lombroso è vera anche in un senso più profondo.
E’ vero infatti che nella nostra società l’uso quotidiano della bicicletta è potenzialmente sovversivo dell’ordine costituito. Un ordine basato sul petrolio e la velocità, destinata a culminare paradossalmente nella grande paralisi quotidiana delle città. La bicicletta si oppone a tutto questo e propone un mondo basato su libertà energetica, ritmi naturali, salute e rispetto degli altri. La bicicletta dunque è rivoluzionaria, e rivoluzionari sono tutti coloro che ogni giorno, con la pioggia o con il sole, si ostinano a fendere il traffico delle nostre città armati della loro bicicletta. Ma al contrario di tante rivoluzioni tristi passate come tragiche comete nel cielo della storia, quella della bicicletta è una rivoluzione allegra. E per questo destinata a trionfare. La bicicletta propone infatti un approccio dolce alla vita e al mondo. Al contrario delle auto che inscatolano ogni individualità separandola dalle altre favorisce il contatto con gli altri e con la natura. Al contrario delle auto che violentano il pianeta con i loro gas di scarico e con il loro rumore, lascia dietro a sé un semplice movimento d’aria, come un battito di ciglia. E la bici è già passata. E’ già più avanti. Gli automobilisti fanno pagare la propria libertà di movimento alla collettività in termini di inquinamento, traffico e consumo di risorse. I ciclorivoluzionari hanno invece il privilegio di contribuire al bene collettivo mentre perseguono i propri interessi individuali. Pedalando arrivano prima, parcheggiano in pochi secondi, si mantengono in salute e non spendono un centesimo. Ma contemporaneamente non ammorbano gli altri con i loro gas di scarico, non costituiscono un pericolo per gli altri utenti della strada e non creano congestione per le vie. E cosa chiedono in cambio di tutto ciò? Solo di essere rispettati. Nell’ecologia della giungla urbana il ciclista non è un avversario, ma uno straordinario alleato dei dinosauri dell’ancient regime che ancora si ostinano ad usare i mezzi a motore. Ogni bici in più è un’auto in meno che occupa un parcheggio o che allunga la fila ai semafori. Per questo l’automobilista dovrebbe fare salti di gioia ogni volta che incrocia un ciclista e trattarlo con guanti di velluto. Naturalmente da bravo rivoluzionario non violento il ciclista urbano deve essere il primo a dispensare agli altri il rispetto che chiede per sé. Tante sono le situazioni di potenziale confitto tra i ciclisti e gli altri utenti della strada. In queste situazioni il bravo ciclorivoluzionario deve sempre essere conscio del proprio ruolo di moderno “cavalier cortese” e non cedere alla tentazione di utilizzare aggressivamente la libertà che il proprio mezzo gli consente. I nuovi ciclorivoluzionari possono essere quindi degli ambasciatori di un modo antico, ma radicalmente nuovo di pensare gli spazi, la mobilità e le relazioni. Possono essere “missionari”, quasi degli evangelizzatori capaci di imporsi con la forza della mitezza. Parafrasando una nota immagine di Francesco Guccini, ci piace pensarli sul loro sellino, mentre fanno correre via la macchina a pedali e nella loro corsa sembrano dire agli automobilisti cupi: “fratello non temere, che corro al mio dovere”. Ecco che la bomba innescata dai ciclisti non è quella violenta dello sfortunato ferroviere della canzone, ma quella tutt’altro che cruenta che abbatte tutti quei muri che la società dell’automobile ha costruito sulle nostre strade: cercando, senza limite alcuno, il massimo di libertà di movimento. E fallendo.
Giampiero Mucciaccio e Francesco Bedussi
Centro Antartide