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La Bici sicura e Pino Cacucci

Ieri in Piazza Nettuno, dalle ore 10 e fino alle 20, è rimasta aperta un’officina mobile per un check-up gratuito delle biciclette. Tra gli interventi previsti il montaggio di palette distanziatrici, di fari e di campanelli, il controllo dei freni e della pressione delle gomme e la marchiatura del telaio contro il furto. Si tratta della campagna informativa “Bici e’ bello, sicura e’ meglio” organizzata da Comune di Bologna e Centro Antartide in occasione della Settimana Europea per la Mobilita’ sostenibile. Secondo un’indagine del Centro Antartide solo il 14% dei ciclisti del capoluogo usa i fari di notte. Del rischio che corrono queste persone “sono evidentemente poco consapevoli- si legge in una comunicato di Antartide- probabilmente a causa dell’eccessiva fiducia riposta nell’illuminazione pubblica delle strade”.

Partendo proprio da questa campagna, e per parlare in generale della situazione della mobilità in bicicletta a Bologna, è intervenuto, come in altre circostanze su questo sito, lo scrittore bolognese Pino Cacucci. Si tratta di un intervento accorato e appassionato, a tratti ruvido. Una presa di posizione che rifugge il politicamente corretto e che merita di essere letta, sia che siate in accordo o in disaccordo con lui. Pino comincia così….

“Sono d’accordo sul fatto che si debba essere responsabili dei propri comportamenti e avere cura delle proprie biciclette. Io, nella fortunatamente spaziosa cantina di casa, tra quelle mie e di mia moglie ne annovero 7 (sette), tutte curate con amore e perfettamente efficienti,

due “da città”, due da montagna, una da “corsa” (ma non corro granché, mi piace guardare il panorama dei nostri bellissimi colli e appennini), più una vecchia di riserva per andarci in stazione, che se le succede qualcosa soffro meno rispetto alle altre.

Bene: ma quand’è che la finiamo di cominciare ogni discorso con l’autocritica verso i comportamenti dei ciclisti?

Di cosa dovremmo sentirci colpevoli? Di andare sotto i portici?

Ecco un bell’esempio: nella città che rappresenta la vergogna europea per assenza di piste ciclabili, quando devo andare da casa mia (via A. Costa) fino a porta S. Stefano, mi prendo il diritto di fare sotto i portici o contromano via Barberia, perché esigo una pista ciclabile e pretendo di non dover fare i mortali viali o l’intasato e inquinatissimo centro di via Ugo Bassi e la strettoia di strada Maggiore dove gli autobus ti schiacciano contro le macchine in sosta. Non è colpa mia: è colpa della vergognosa Bologna che odia le biciclette. (a proposito di strada Maggiore: la seconda metà avrebbe una sorta di pista-ghetto protetta da paletti, o minifittoni; ebbene, visto che lì nessuno pulisce, io ho forato ben tre volte negli ultimi anni, non è possibile percorrerla perché è piena di vetri di bottiglie rotte, che nessuno toglie).

Giorni fa hanno multato un ciclista perché andava “appaiato” a un altro, scambiando due parole. E allora? La velocità di un ciclista appaiato è sempre superiore alla media di percorrenza di un SUV in centro (ce ne sono troppi e tutti, guarda caso, con il loro spudorato contrassegno da invalido, come se un invalido potesse arrampicarsi agevolmente su un SUV). Noi, qualsiasi cosa facciamo e in qualunque modo ci muoviamo, non siamo un intralcio al traffico, noi SIAMO il traffico. Noi dovremmo essere l’unico traffico NORMALE e tutto il resto anormale e quindi a malapena tollerato. Perché chiunque usi l’auto in città deve sentirsi in colpa come un malfattore, perché sta avvelenando la mia aria, l’aria di tutti. Questo non è un vezzo da moda passeggera: questo si chiama CANCRO da benzene, CANCRO da polveri sottili, e qualunque altro argomento sulla “viabilità” viene dopo la salute collettiva. Ecco perché sono convinto che chi va in bicicletta debba avere tutti i diritti possibili e immaginabili: i potenziali assassini non possono accampare diritti, dovrebbero avere soltanto doveri e severe restrizioni. Quindi, le autocritiche vanno lasciate tutte ai veicoli a motore, punto e basta. Se un ciclista “ostacola” il traffico veicolare con i suoi comportamenti “fantasiosi”, fa bene, perché sta solo rallentando i potenziali assassini.

E sarebbe ora che ci facessimo sentire, perché qua non ci regala niente nessuno, viviamo in una città incivile e sta a noi renderla un po’ più civile strappando spazi, non facendo autocritica per eventuali fanalini mancanti (la città è illuminatissima di notte, i fanalini servono se vai da Budrio a Medicina, per esempio, o quando il mio amico Bibì Bellini va in stazione a Castel S. Pietro con la nebbia, e sfido chiunque a dimostrare che un ciclista è stato investito perché “invisibile” in una città illuminata a giorno). Ora apprendo che si può essere multati per “mancanza del campanello”: da quando in qua le bici da corsa ne hanno, per esempio? E quelle da montagna? E Prodi, sulla sua da corsa, ha il campanello? Non se ne può più di questi soprusi, davvero non se ne può più, di vigili frustrati che se la prendono con gli unici che non li avvelenano. Io, in gioventù, sono stato multato in bici perché ho percorso un tratto di 50 (cinquanta) metri contromano in centro. Ebbene, sono ovviamente un automobilista anch’io (la uso solo se devo intraprendere un lungo viaggio, in media accendo il motore una volta al mese o ogni due mesi, perché per il resto uso il treno o l’aereo), e sai quante multe ho preso per infrazioni al codice della strada negli ultimi 25 anni? NESSUNA. Sarò fortunato, ma vorrà pur dire qualcosa, no?

A Bologna presentano una cifra grottesca in termini di km di piste ciclabili: sono la somma dei marciapiedi “larghi” che hanno diviso in due mettendoci le strisce e il simbolino delle due ruote, cioè hanno messo in conflitto le due parti più deboli del traffico (bici e pedoni, con corollario di passeggini e neonati dentro) creando piste-truffa che durano due o trecento metri e finiscono direttamente sotto le ruote degli autobus (o dei Suv degli “invalidi”). Vergognati, Bologna.

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