Pedalo quindi sono
L’articolo uscito ieri sul quotidiano il Domani di Bologna porta la firma di Cristina Rosati che per questo sito cura la corrispondenza da Parigi. Come sapete la rubrica si intitola Cicloruzione e questa volta ospita la recensione di un libro uscito in Francia di recente. Si tratta di “Éloge de la bicyclette” di Marc Augé pubblicato da Payot & Rivages. Un mondo in cui si mangiano le castagne in autunno e le ciliegie in primavera, dove le strade sono per le biciclette e i marciapiedi per i pedoni, in cui le macchine possono circolare con un permesso speciale e solo in strade prestabilite: il trionfo dell’utopia e il sogno di un mondo ideale. Tutto questo è condensato in una decina di pagine in “Éloge de la bicyclette” dell’etnologo Marc Augé, ma per le restanti ottanta facciate di questo libro corto e asciutto la fantasia irreale assume corpo e sostanza. L’approdo all’utopia finale non è scontato e implica un vero mutamento di prospettiva: riappropriarsi del proprio corpo, misurarsi con le proprie capacità, vincere la passività della vita globalizzata e sentirsi liberi di muoversi. Il mezzo di questa rivoluzione non ancora compiuta è proprio la bicicletta, strumento a cui veniamo introdotti fin da bambini e a cui spesso sono legati i primi ricordi dell’infanzia.
Sono lontani gli anni quaranta e cinquanta, ricorda Augé, quelli dei gesti di solidarietà tra i ciclisti Coppi e Bartali, o di film come “Ladri di biciclette” di Vittorio De Sica dove le due ruote diventano simbolo di una classe operaia alla conquista della libertà. Quelli attuali sono i tempi in cui la bicicletta è un gioco della domenica, in cui si parla delle grandi manifestazione sportive ciclistiche solo per rimarcare la scoperta di un nuovo caso di dopaggio. Non saranno dei Coppi o dei Bartali, ma non è raro assistere ancora oggi ad esempi di mutuo soccorso tra ciclisti più esperti e neofiti, o notare gruppi di appassionati della bicicletta per le strade di campagna che non comunicano tra loro con i telefoni cellulari e procedono in silenzio, facendo brevi soste per consultarsi sul percorso. La domanda cruciale è: può la bicicletta aiutarci a riconquistare la relazione, lo scambio di parole e sorrisi tra le persone? L’esempio concreto di una possibile inversione di tendenza della società moderna analizzato da Augé è quello del Velib, il sistema di biciclette pubblico parigino che proprio questo mese compie un anno di esistenza. In centinaia di stazioni dislocate in tutta la città si possono prendere in affitto le biciclette e, grazie ad un semplice abbonamento, utilizzarle gratuitamente per trenta minuti. Di certo il Velib è un buon inizio, ma ancora potenziale, fino a che non sarà normale, una abitudine, utilizzare il vélo per gli spostamenti quotidiani. Per far questo è necessario che la città sia organizzata in maniera tale da rendere possibili gli spostamenti. 327 chilometri di piste ciclabili a Parigi non sono sufficienti perché ci sia una vera libertà di movimento, soprattutto perché queste sono concentrare nella città storica con nessun contatto con la periferia. Allargare il circuito, costruire infrastrutture che colleghino a mezzo bicicletta la città e la banlieue dovrebbero essere per Augé i prossimi passi del Comune di Parigi. L’esempio a cui l’autore guarda sono città italiane come Modena, Parma o Bologna, in cui, a suo avviso, la buona qualità della vita è sottolineata dall’elevato numero di ciclisti sulle strade. Augé ci fornisce anche qualche dato dell’ufficio di Sicurezza Stradale. Nel 2000 nella capitale francese sono stati uccisi due ciclisti, cinque nel 2001. Dall’inizio dell’anno ad oggi sono tre le persone che hanno perso la vita in strada, ma il numero dei ciclisti dal 2001 al 2008 è cresciuto del 48%. Non c’è stato quindi un aumento proporzionale della quantità dei morti, mentre è cresciuto di molto il numero delle biciclette in città. Riorganizzare il tessuto urbano è quindi il primo e fondamentale passo da cui prende piede l’utopia. Utilizzare la bicicletta ci permette di “giocare con il senso del reale”, scrive Augé, ci riporta alla nostra dimensione più biologica e umana, ci permette di immaginare una città che si basi sui nostri veri bisogni e sulle nostre capacità, fino a che “reale e utopia diventino la stessa cosa.” Conclude Augé: “À vos vélos, pour changer la vie! Le cyclisme est un humanisme.”
Cristina Rosati