
Chi ci segue da un po’ forse ricorderà il titolo di un post di circa due mesi fa:
Non credo nel bike-sharing.
La provocazione suscitò diversi commenti e contributi alla riflessione che forse è il caso di riguardare.
Oggi, osservando alcuni fenomeni apparentemente distanti, ma che attengono a vario titolo al tema del bike sharing, proviamo ad avviare la
pars costruens di quella riflessione, proponendo un’ipotesi di lavoro riassunta con un titolo speculare rispetto a quello di febbraio:
Credo nel bike-sharing partecipato.
Alcuni fatti:
In sostanza i comuni stentano a implementare un servizio su larga scala come quello parigino o spagnolo. E’ la crisi bellezza! e riguarda tutti. Ma qualcosa si muove e proprio nell’ottica partecipata a cui si accennava all’inizio:
Seguiremo entrambi questi fenomeni e vi faremo sapere. Nel frattempo però cominciamo a chiederci se c’è speranza per un bike sharing “multilaterale” e open source… Del resto quello che serve alle città è la possibilità di muoversi, mica il possesso… E sembra di ritornare alle origini del bike sharing:
Il piano delle biciclette bianche. Riassumendo, le nostre città devono essere in grado di “produrre km percorsi in modo sostenibile” e chiunque ha il dovere di dare il proprio contributo: le istituzioni, gli operatori economici, le associazioni, le scuole, le ciclofficine, comitati di quartiere, i media… Voi che ne pensate?