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I ciclisti e il Paese

Cosa possono fare i ciclisti per le città… e viceversa cosa può fare la città e i suoi amministratori per i ciclisti?  Nello scorso mese di marzo abbiamo provato a riassumere i desiderata dei ciclisti chiedendo di partecipare, con suggerimenti e indicazioni, alla creazione di un documento comune.  Qui sotto abbiamo cercato di riassumere i contributi espressi da tanti e che rimangono disponibili nel post “Cosa serve ai ciclisti?”
C’è una bellissima frase di John Kennedy che dice “Non chiedetevi cosa può fare il vostro Paese per voi. Chiedetevi che cosa potete fare voi per il vostro Paese.”.
Noi ciclisti per il nostro Paese facciamo già ogni giorno una cosa importantissima: percorriamo strade e città in bicicletta, invece che a motore. Cioè ci facciamo i fatti nostri come tutti, ma senza bruciare petrolio, senza inquinare aria e acqua, senza mettere a rischio la vita dei pedoni, senza fare fracasso, senza occupare fisicamente le città fino ad oscurarne case e piazze.
Riteniamo quindi di aver “maturato” il diritto di chiedere qualcosa al nostro Paese e a chi governa le città, più che per noi stessi, per i vantaggi generali che generiamo muovendoci in bicicletta.
Cos’è che ci serve? Anzi cos’è che serve a tutti in questo Paese, e che passa per la bicicletta?
Noi di Ilikebike ce lo siamo chiesto e abbiamo ottenuto un serie di risposte che vogliamo riassumere partendo da quelle generali e per scendere poi alle particolari. E’ un elenco breve ma ogni punto pesa.

Servono più ciclisti.

La saggezza ciclosofica dice: “Che fare per la bicicletta? Andare in bicicletta”. L’aumento delle persone che si spostano a pedali è essenziale per ridurre l’impatto ambientale e climatico delle città. Le città devono porsi obiettivi importanti in questo senso e comprendere che per raggiungerli  non si potrà prescindere da un serio piano sosta per le biciclette: per ogni isolato, di ogni strada, in ogni quartiere, ci devono essere posteggi robusti e sicuri per almeno 8-10 biciclette, e se da qualche parte si vedono mucchi di bici accatastate sotto un portico o attaccate a qualche catena, è segno che lì c’è una domanda di posteggio inevasa, e di rastrelliere ne va messa su un’altra, anche a spese di un posto auto, se proprio non si trova altro modo. Questo processo deve essere visto come dinamico. Il piano sosta può favorire l’aumento della ciclabilità  e l’occupazione di suolo pubblico a favore della mobilita ciclistica; e di stimolare la domanda di nuovi ciclo-posteggi, per i quali va previsto un capitolo di spesa specifico ogni anno. 
Riassumendo, anche se le piste ciclabili sono l’elemento più evidente che indica una pianificazione della mobilità a favore di chi si sposta in bici, sono le rastrelliere il vero gesto di accoglienza. Basta guardare la stazione di Amsterdam per capire cosa intendiamo. Basta guardare a New York che, anche con le rastrelliere sta ridisegnando lo skyline della grande mela.

Serve cultura e comunicazione.

Bisogna attuare semplici, ma aggressive campagne pubblicitarie, come fanno in altre nazioni, con messaggi chiari e inequivocabili, puntando al risparmio di tempoDa qui a lì, in auto 30 minuti, in bici 15. Usa la bici”. O anche indicando il risparmio economicoIn auto spendi un euro ogni 3 km, in bici niente, e fai pure prima. Usa la bici.”, i vantaggi per la saluteIn moto ingrassi tu, in bici ingrassa la catena”,  (traducendo magari fortunati slogan come Burn fat not oil) o grandi cartelloni che dicano “Per i ciclisti stiamo realizzando l’asse ciclabile Pinco, per gli altri c’è la solita coda”.
Insomma la città deve “vendere la bicicletta” ai suoi abitanti, come modalità realistica ed efficiente di mobilità e di libertà, alternativa al trasporto motorizzato privato ed ai suoi svantaggi.

Servono statistiche.

La città deve contare quanti ciclisti la percorrono nelle diverse stagioni e sapere complessivamente che distanze e che giri fanno, esattamente come fa con le auto e gli altri mezzi. Senza numeri si fa fatica a misurare e senza misurare si fa fatica a governare.
Servono quindi periodiche indagini demoscopiche e altri sistemi di rilevazione. I dati devono essere resi noti alla cittadinanza su apposite pagine web.
Smettiamola di usare nel 2009 dati del 2000 o ancora più vecchi! Poter disporre di dati certi e di tendenze in atto è precondizione indispensabile per qualsiasi politica sistematica ed efficace della mobilità generale e ciclistica in particolare.

Serve accoglienza e protezione.

I ciclisti e le bici devono essere ben accetti sui mezzi pubblici, compresi i bus extraurbani e gli altri mezzi a lunga percorrenza che servono le periferie metropolitane. Devono poter contare su posteggi comodi, coperti e sicuri sui luoghi di lavoro e studio e possibilmente anche di servizi specifici, quali spogliatoi e docce.
Il percorso del ciclista lavoratore deve essere coperto da assicurazione Inail, anche se esistono mezzi pubblici disponibili in parte o su tutto il percorso.
Le aziende che investono sulla mobilità ciclabile dei dipendenti dovrebbero godere di sgravi fiscali anche sulla tassazione locale.

Serve sicurezza.

È necessaria l’emanazione di norme che estendano progressivamente il diritto di precedenza stradale alle biciclette rispetto a tutti gli altri veicoli, in particolare in presenza di incroci con piste ciclabili, e per garantire la libertà di circolazione contromano alle biciclette nei sensi unici, con la certezza di averne il diritto, e l’obbligo per tutti gli altri veicoli di lasciarle passare senza metterle in pericolo.
Per la sicurezza delle biciclette c’è bisogno di moderazione del traffico, con imposizione effettiva di limiti drastici di velocità nei quartieri e nei centri storici, con opportune misure passive di sagomatura delle strade negli attraversamenti anche ciclabili e con rilevazioni attive delle velocità e delle infrazioni per tutti i veicoli motorizzati, su tutte le strade percorribili da ciclisti, sia nei quartieri che nel centro.
I ciclisti hanno anche bisogno di repressione della sosta in doppia fila. Si tratta di un’abitudine apparentemente innocente degli automobilisti, che invece espone i ciclisti al grave pericolo di essere investiti da dietro mentre si allargano per aggirare l’ostacolo.
Le scuole di ogni ordine e grado, nelle ore di ingresso e uscita, e i bar posti lungo le strade, costituiscono ben noti punti di aggregazione di questa abitudine nefasta per i ciclisti: il sindaco quindi avrà gioco facile a mobilitare la polizia municipale per controllare e reprimere questi comportamenti.
In breve più ciclisti significa meno incidenti meno inquinamento meno occupazione dello spazio pubblico meno costi sanitari e sociali, in una parola PIU’ VITA.
Il diritto alla vita passa anche per il diritto alla bicicletta e per il dovere delle amministrazioni di favorirne l’uso generalizzato.

0 Comments

  1. Serve educazione

    Educare i ciclisti come devono usare la bici in città. Non e’ sufficiente saper
    andare con la bici e conoscere il codice stradale. I ciclisti devono sapere
    anche come controllare la corsia che stanno usando, come passare per le rotonde,
    gli incroci stradali etc.

    Educare i motoristi da rispettare i ciclisti, come superargli etc.
    La città dovrebbe fare un volantino dove spiega in modo semplice di queste cose
    e distribuirlo ai cittadini, vedi i link sotto.

    http://yieldtolife.org/tips/cyclists

    http://yieldtolife.org/tips/motorists

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