L’auto si alimenta da sè. Intervista a Rudy Lewanski
L’utilizzo dell’automobile ha conosciuto un incremento a partire dagli anni 2000, attestato all’ 11,2%. L’automobile risulta essere il mezzo più utilizzato non solo nei percorsi di media e lunga distanza, ma anche in quelli brevi (non superiore ai 2 km), sottraendo così una quota consistente di trasporto ad altre modalità di spostamento che dovrebbe essere ad uso esclusivo del trasporto pubblico o non-motorizzato.
Quella nei confronti dell’auto sembra essere, nel nostro Paese, un’attrazione che non conosce crisi nonostante i problemi legati a questa modalità di trasporto: inquinamento acustico e ambientale, alta incidenza di mortalità per incidenti stradali, consumo di territorio in favore di una larga cementificazione. Per approfondire una riflessione in merito all’utilizzo dell’auto, quasi per tracciarne “l’anatomia del successo”, Gabriele Annichiarico ha raccolto questa lunga intervista da Rudy Lewanski, docente dell’Università di Bologna e esperto di tematiche legate alla sicurezza stradale e alle politiche dell’ambiente.
Partirei da un articolo apparso su Repubblica a gennaio: “Incidenti stradali: un anno orribile nel bolognese”; i sinistri rilevati nel 2009 sono stati 3000, 7000 persone coinvolte, decessi in aumento del 20%. Quali sono i fattori che rendono le strade, urbane in particolare, così insicure ?
Partirei da una premessa: l’auto è intrinsecamente insicura. E’ un tipo di mezzo di locomozione che presenta un numero elevatissimo di interazioni, per cui è impossibile che non si verifichino in una certa misura, sinistri. Eviterei la parola incidente che è culturalmente fuorviante. Io credo che la parola incidente, in inglese, accident, implichi un’idea di fatalità. Non c’è nulla di fatale in tutto questo. Stiamo parlando di una tecnologia umana e come in tutte le tecnologie, quando opportunamente gestite, minimizzano gli effetti negativi, massimizzando i benefici.
Ciò premesso, bisogna dire che alcuni paesi, come la Svezia o la Svizzera, hanno adottato la cosiddetta zero vision (visione zero), che persegue un obbiettivo ideale di riduzione delle morti sulle strade, pur sapendo che arrivare a questo zero assoluto sarà estremamente improbabile e difficile. Ciò detto, si agisce su quella componente dei sinistri dovuti a comportamenti poco attenti, se non addirittura criminali e sottolineo, dovremmo usare questa parola. Quando non si rispettano i limiti di velocità, quando non rispetta la segnaletica o un semaforo, siamo di fronte ad un comportamento criminale. Stranamente per ragioni culturali non amiamo sentircelo dire. Diceva Enzo Ferrari: “l’auto è come una pistola”. Credo che Enzo Ferrari non fosse sospettabile di essere un uomo contro le automobili. L’interazione fra questi veicoli e l’altra categoria di utenza della strada che non hanno un veicolo motorizzato (pedoni e ciclisti), porta a questi risultati.
Voglio essere provocatorio: noi facciamo un gran can can sul terrorismo e sui morti dell’11 settembre; ebbene i morti dell’11 settembre sono stati 3000, i morti ogni anno sulle strade degli Stati Uniti sono 40000. Chi è il terrorista ? Ovviamente nessuno di noi vorrebbe sentirsi dire che è un terrorista, e spesso si sente affermare parole come “fatalità”, “succede, è un costo da pagare sull’altare del progresso”. Non sono affatto daccordo; ed il fatto più saliente è l’assenza di leadership da parte dei politici, di maturità culturale da parte della società civile e delle elite politiche in generale, con qualche eccezione su questo fronte. Se parliamo di sicurezza guardando i numeri, la prima causa di morte traumatica in Italia, in Europa e nel mondo Occidentale, non sono le guerre, fortunatamente, non sono neanche gli incidenti sul lavoro, che sono gravissimi e inaccettabili, non sono gli omicidi della criminalità, la prima causa di morte è la strada e spesso influisce su persone che non hanno alcuna responsabilità, se non quella di camminare o attraversare la strada.
Questa è la sfida culturale che abbiamo di fronte.
Il diritto alla mobilità, è sancito da fonti autorevoli, quali: la costituzione italiana, la dichiarazione dei diritti dell’uomo. Esiste davvero questo diritto o è una pura astrazione. Quali sono i fattori che ne impediscono l’attuazione ?
Come molte dichiarazioni e costituzioni di tutto il mondo, sono bellissime, sono giuste, ma rimangono spesso solo sulla carta; bisogna tradurle in quelle che si chiamano costituzioni materiali, ovvero [continua]
Quindi si può fare tantissimo: opportune tecnologie e politiche possono limitare i danni. C’è però, lo dicevo prima, qualcosa di intrinseco a questa mobilità socialmente gradita, non si riesce nemmeno ad immaginare un altro modo di spostarsi che non sia l’automobile. Eppure i risultati dei treni e degli Eurostar di questi anni, dimostrano che se i trasporti funzionano bene, aumenta la loro attrazione. Si potrebbero spostare considerevoli quote di mobilità dalla gomma, che è intrisecamente insicura, al treno che è altamente sicuro. E naturalmente dovrebbe essere molto sicuro muoversi a piedi, negli spazi urbani e in bici, se ce ne fossero le condizioni. Ma questo lo vediamo dopo.
Come lei ha scritto nel suo libro “La sicurezza stradale” all’utilizzo massivo dell’automobile sono connaturati una serie di processi negativi: il processo di suburbanizzazione, il consumo del territorio, in relazione allo spazio cui l’uso delle autovetture necessitano, inquinamento atmosferico e acustico, consumo di materie prime. Come si spiega allora la scelta dell’automobile, come il principale mezzo di trasporto. Manca una coscienza civile sensibile a questa tipologia di tematiche. E se si, chi ha il compito di sensibilizzarla ?
Guardi, sul problema della sensibilizzazione si possono fare alcuni esempi luminosi: a circa 40 km da qui troviamo la città della bicicletta, Ferrara, dove precise politiche, quali la chiusura del centro, promozione della bicicletta, costruzione di piste ciclabili ed altre infrastrutture di questo tipo, hanno spostato quote significative di mobilità, dal veicolo a motore a un mezzo molto più benevolo. Ciò detto è evidente che la bicicletta è adatta a certi tipi di percorsi, generalmente inclusi in un tragitto di 5 km, per una persona normale. Tra l’atro è un esercizio sano e che fa bene, se consideriamo che viviamo in un’epoca in cui l’obesità preoccupa il ministero della salute, un po’ di esercizio fisico non potrebbe certo far male. Io ad esempio vengo in ufficio in bicicletta, questa è la mia palestra, non vado a fare altro. Certo vorrei farlo senza temere per la mia incolumità fisica.
“Io non inquino gli altri e non congestiono il traffico ”. Certo, la sua domanda è complessa e non può essere spiegata in una battuta. C’è un processo storico che va avanti da almeno un secolo, in Europa dal dopoguerra, negli Stati Uniti da prima ancora. L’automobile alimenta se stessa. L’illusione di percorrere grandi distanze, a basso costo e in tempi brevi, ha promosso l’espansione urbana. In tempi passati le distanze percorribili a piedi o a cavallo erano maggiormente contenuti. E’ l’auto che rende possibile avere un determinato stile di vita, che rende facilmente raggiungibile la casetta in montagna, piuttosto che la propria area residenziale in stile suburbia all’americana o gli shopping centres, oggi largamente diffusi anche da noi. In poche parole, scusate il termine, sono di nuovo provocatorio, l’auto è una droga, che si auto-alimenta, più la si usa, più se ne ha bisogno. Peccato però, che paghiamo dei prezzi enormi: non ci sono solo i 5000 morti di collisioni, l’organizzazione mondiale della sanità, e non credo sia un’organizzazione sospetta, stima in 8000 le morti precoci, nelle otto maggiori aree urbane italiane, per le polveri sottili. E tutto questo è stato detto, per un periodo se ne parlato, ora non se ne parla più, come se il problema fosse andato via; non mi pare. Abbiamo autovetture un po’ meno inquinanti, ma l’80% delle emissioni di Co2 vengono dai mezzi di trasporto. Oggi nel mondo ne circolano più di 700 milioni: fra qualche tempo saranno più loro che gli esseri umani. L’altro giorno la Cina ha superato gli Usa per numero di auto vendute. L’atmosfera terrestre non è in grado di sopportare l’emissione di tanta Co2; fra un po’ ci mancherà letteralmente l’ossigeno: dobbiamo arrivare ad una grave crisi prima di aprire gli occhi ?
Alcune case automobilistiche hanno recepito il massaggio, inizialmente circolava la favoletta dell’auto ad idrogeno, ma adesso più realisticamente dell’auto ibrida e domani elettrica, perchè hanno capito che l’accettabilità sociale, nei paesi benestanti, sta scemando. Ma quello dell’inquinamento è solo uno dei problemi: c’è poi un problema di spesa sanitaria, malattie polmonari, cardiovascolari, oltre naturalmente alle conseguenze dei sinistri; non è stato risolto il problema della congestione e del conseguente spazio divorato, spazio agricolo per esempio, dove produciamo il nostro cibo, divorato da asfalto e cemento, e poi il tempo. Il paradosso di questo mezzo è la promessa di un trasporto istantaneo, tutte le pubblicità decantano la libertà dell’auto, ma guardiamo la realtà: siamo tutti imbottigliati. In passato la bicicletta era il mezzo adatto allo spostamento urbano in paesi come Cina e India, oggi mi raccontano che anche li non ci si muove più in bicicletta. E poi vogliamo considerare il nostro benessere psicofisico, il nostro è un ambiente gradevole nel quale vivere ? La nostra salute mentale è una questione che prima o poi verrà al pettine, ma questa ovviamente è una considerazione del tutto personale.
Quindi siamo saldamente ancorati a questa droga ed è difficile pensare a come uscirne, se non mettendo in pratica misure alternative, sul trasporto ferroviario, urbano, suburbano, sia a livello nazionale che europeo.
Lei crede che la promozione della bicicletta come mezzo privilegiato di spostamento negli spazi urbani, possa in qualche modo risolvere il problema del congestionante traffico cittadino, della sicurezza stradale, dell’inquinamento, anzitutto atmosferico ed al contempo rappresentare un punto di svolta per creare una nuova socialità, largamente condivisa ?
In parte mi sembra di averle già risposto. Certo l’ultima aspetto a cui ha fatto riferimento è interessante. L’auto uccide la socialità, l’auto è la celebrazione e la prassi dell’individualismo: “la mia auto”. Pratiche di car-sharing sono state tentate in certi paesi, con un risultato del tutto limitato. L’auto è squisitamente individualista. Ha un punto di forza: ti promette lo spostamento da punto a punto, door to door dicono gli inglesi, da casa mia al mio luogo di lavoro o al centro commerciale, senza dover fare conto con i tempi degli altri. Il problema e che se si dovesse fare un resoconto delle enormi risorse economiche che investiamo nell’auto, nell’acquisto e nella gestione, e si dovessero prendere in considerazione le esternalità negative, la salute, l’ambiente, l’aria ecc. e le spostassimo sul trasporto pubblico e sulla bicicletta potremmo migliorarne notevolmente l’attrattiva di queste modalità di trasporto.
Si può allora immaginare che il congestionamento automobilistico e tutte le negatività ad essa correlate, possano raggiungere un livello talmente alto, da portarci ad un repentino cambiamento di rotta ?
Questa è una domanda da fantascienza, il traffic jam finale, ovvero il giorno in cui il traffico si ferma, non si muove più e diventa inestricabile. Forse è un po’ fantascienza, però guardi che ci sono delle città costruite a dimensione auto, come Los Angeles, ferme alle 5 del pomeriggio. Se neanche quella città, pensata ad hoc, non riesce a contenere il volume di auto, figuriamoci le nostre città, con minore spazio e maggiore densità abitativa.
Se si costruissero delle piste ciclabili sicure, si potrebbe attrarre sempre più utenza in questa direzione. E poi c’è chi ritiene discriminante la separazione fra la strada e la pista ciclabile, dovrebbe essere appunto la bicicletta ad essere parte integrante del traffico o per altri ancora a costituire il traffico.
Questa è critical mass, un concetto molto bello, ma poi ci si deve rapportare alla realtà. Muoiono più di 300 ciclisti all’anno, e più di 700 pedoni. Cioè più di mille persone che non inquinano, che non occupano spazio e non congestionano, che fanno un’attività fisica salubre ecc. sono quelli a pagare un prezzo purtroppo molto alto. Questo è un problema di giustizia sociale, taciuto, o quantomeno non denunciato da nessuno, come se fosse nell’ordine naturale delle cose. Io dissento profondamente, è frutto di scelte, più o meno consapevoli, ma collettive. Certo se oggettivamente io avessi un lavoro a 30 km, prenderei sicuramente la macchina, ma bisogna dire che non avrei la scelta di prendere la bicicletta. Aggiungo che non è così ovunque, in Germania, in Olanda ci sono moltissimi collegamenti, che separano gli utenti deboli, dagli utenti forti. Questi sono paesi in cui il tasso di mortalità dell’utenza debole è scesa notevolmente grazie a precise politiche.
Poi c’è anche il problema di come si fanno le piste ciclabili, a Bologna per esempio sono state fatte delle scelte molto minimaliste, tirando una linea sul marciapiede: sono queste scelte molto discutibili, senza poi preoccuparsi di fare cultura con i pedoni. Noi come ciclisti ci siamo rivolti tante volte all’amministrazione pubblica, segnalando i problemi, chiedendo una migliore gestione di questi due flussi. Ci sono valide soluzioni: ho visto a Vienna marciapiedi su due livelli, per rendere chiaro il passaggio pedonale da quello per ciclisti; si possono utilizzare due colori differenti, un’adeguata segnaletica, e ripeto, fare cultura. Forse gli italiani sono intrinsecamente indisciplinati, odiano le regole, e capita spesso che i pedoni camminino sulle piste ciclabili. Naturalmente accade anche il contrario: c’è stata qui a Bologna la polemica dei ciclisti multati in transito sotto i portici. E’ giusto che le bici non circolino sotto i portici, ma molte volte lo faccio anch’io, perchè non so dove andare, perchè ho paura della strada. C’è un bellissimo esempio che ho vissuto in prima persona: l’unica pista di cui doveva essere dotato il mio quartiere, S. Stefano, all’inizio del mandato Cofferati, fu sollecitato dal presidente di quartiere che disse: “noi non abbiamo una pista ciclabile che ci colleghi al centro.” La risposta è stata: “giustissimo, ve la facciamo”. Fu individuato un possibile percorso, con l’aiuto dei cittadini interessati ed il risultato è stato il mancato completamento a distanza di cinque anni dall’inizio dei lavori. La pista ad oggi è ancora li che termina a 200 metri dalla continuazione di via Dante. Il ciclista a quel punto cosa fa, continua inevitabilmente la sua corsa sul marciapiede, perchè non ha altre opzioni, è uno stato di necessità.
Il modo di lavorare dell’amministrazione comunale, io parlo di Bologna, è insoddisfacente: molte parole pochi fatti. Attendo naturalmente di essere smentito, sarebbe un grande piacere. Ma io ogni giorno vado sulla strada, rischio la pelle, respiro l’inquinamento degli altri, non consumo petrolio che causa crisi e guerre in giro per il mondo, ed invece di essere aiutato, vengo penalizzato. Evidentemente le regole non sono uguali per tutte le categorie.